SCUOLA “TAPPABUCHI”?

SCUOLA “TAPPABUCHI”?

Spesso si dice che è colpa della scuola se nella società esistono particolari problematiche di tipo patologico; si inveisce su di essa dichiarandone il fallimento educativo.

Altre volte si delega alla scuola il compito di sopperire alle lacune e alle devianze dei membri della società.

Non si tiene conto, però, che la scuola è solo una delle agenzie educative, con compiti specifici, oltre quelli di educare.

Certo, la scuola deve educare, ma non le si possono addossare tutte le responsabilità educative.

Se pensiamo che con l’educazione alle relazioni si risolve il problema dei femminicidi, credo che siamo sulla strada sbagliata, per diversi ordini di motivi:

  1. Se l’educazione all’affettività dovesse essere il taccasana del problema, bisogna tenere conto che i suoi effetti si possono vedere solo a lungo termine;
  2. A chi dare l’incarico di proporre tale tipo di educazione?
    1. Dovrebbero insegnarla insegnati già presenti nella scuola?
      1. In tal caso non ci sarebbe bisogno di imporgli le ore di insegnamento: potrebbero farlo facendo appello alla propria sensibilità di insegnanti
    2. Dovrebbero insegnarla docenti aggiunti, magari psicologi o altro?
      1. In tal caso non si farebbe altro che aggiungere nuovo ed altro personale sovrapponendolo a quello esistente che verrebbe ritenuto inadeguato a svolgere il compito.
    3. Si dovrebbe insegnare aggiungendo ore?
      1. In tal caso è consequenziale l’allungamento del tempo scolastico, in caso contrario la si dovrebbe insegnare a scapito di altre discipline che in tal modo verrebbero sacrificate e sminuite del loro valore formativo.

Come si vede la questione non è semplice e, perciò, non può essere una sola agenzia educativa ad affrontare il problema, ma esso va affrontato sinergicamente con il contributo di tutte le agenzie e facendo in modo che la società si faccia carico della proposta di valori e comportamenti positivi che possano sconfiggere ogni forma di violenza, non solo quella sulle donne.

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GABBIE SALARIALI

GABBIE SALARIALI ?!

Pari prestazione pari retribuzione.

E’ più che giusto ed è ovvio, ma a questa equivalenza se ne deve aggiungere un’altra: parità di opportunità e di condizioni sociali.

Lo stipendio uguale per tutti è la soluzione più semplice ed è la condizione per non adoperarsi a trovare soluzioni che eliminano le diseguaglianze.

È, infatti, difficile escogitare sistemi per eliminare le disparità sia nelle condizioni di lavoro sia nelle opportunità che si ottengono con la retribuzione.

Risulta difficile incentivare un docente del sud per le condizioni di lavoro dovute, ad es., alla mancanza di servizi quali i trasporti o altro, come è difficile trovare incentivi per un docente del nord per compensare il caro vita che fagocita la retribuzione e allora, la cosa molto più semplice è quella di retribuire tutti allo stesso modo.

Non è l’aumento degli stipendi, pur legittimo e necessario, che risolverebbe le disparità, ma un attento ed equo studio per eliminare le disparità di condizioni sociali e di lavoro.

Le vogliamo chiamare “Gabbie salariali”?

Io non lo farei, darebbe l’dea di “Reclusione”, ma un attento ed equo lavoro di analisi delle condizioni socio economiche e lavorative, accompagnato da una seria proposta di revisione degli stipendi degli operatori scolastici e del  pubblico impiego potrebbe essere una soluzione.

Per operare in tale senso un modello esiste già ed è quello dell’indice dei prezzi al consumo (Paniere), ovviamente non limitato ai soli prezzi dei generi, ma più esteso fino a coinvolgere servizi e condizioni di vita in modo da poter definire il quantum da retribuire.

Perché scandalizzarsi se si trovano forme di incentivi che integrano lo stipendio?

A scuola non lo si fa già attraverso la contrattazione decentrata e d’istituto?


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Fonte: Leccenews24.it  da ASL LE

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